Avvocato Domenico Esposito
 

LA PERSONA DIVERSAMENTE ABILE HA DIRITTO A REALIZZARE LA PROPRIA SESSUALITA'

Secondo il Tribunale di Varese, la persona (interdetta) è affetta da sviluppo mentale ritardato e irregolare con deficit cognitivo non esclude la capacità di autodeterminazione in quegli atti personalissimi della vita.

La sentenza riconosce:
- il diritto a realizzare la propria sessualità;
- il diritto alla inviolabilità della sfera intima.

Venngono quindi richiamate sia la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (New York 13.12.2006 e ratificata dall’Italia con la legge 3.3.2009 n. 18), secondo cui “l’importanza per le persone con disabilità della loro autonomia ed indipendenza individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte”, sia la giurisprudenza dello stesso tribunale, secondo cui "già in passato (in materia di matrimonio del soggetto portatore della sindrome di Down) ha affermato che il diritto soggettivo inviolabile non può essere “congelato” in conseguenza della misura di protezione giuridica dell’adulto incapace.

Secondo un approccio criticabile in quanto apodittico e scevro di quelle necessarie precisazioni che di per sé potrebbero riempire di contenuto la seguente affermazione, "Solo quando la sessualità non è consapevolmente vissuta dall’interdetto il quale non è “Soggetto” della situazione sessuale ma “oggetto”". Ecco, in questo caso (e solo in questo caso) sono ipotizzabili delle misure di intervento: tramite il coinvolgimento dell’Autorità penale, l’allontanamento (con gli strumenti di Legge) delle persone che “mercificano” la sessualità dell’incapace, l’adozione di strumenti di monitoraggio e sostegno (tramite il Consultorio o i Servizi sociali e un supporto psicologico o psicoterapeutico)."

E', infatti, appena il caso di notare che, secondo alcuni approcci psicologici, nessuna relazione umana (incluso quelle tra normodotati) é scevra di profili in cui uno dei due partner "usa" o "sfrutta" l'altro sessualmente, in dipendenza del diverso piacere sessuale che può trarre dalla relazione e dalla maggiore o minore capacità di donarsi all'altro. In relazione a questa e ad altre possibili considerazioni, l'intervento di una consulenza psicologica sconta il difetto, a parere del commentatore, di muoversi in un ambito epistemologico particolare, che si riferisce, cioé, alla scuola e all'orientamento di scuola seguito dal singolo consulente, le cui conslusioni, come spesso si legge, possono essere molto diverse da quelle di un altro operatore successivametne interpellato, magari in diverso grado di giudizio.

Appare, insomma, che l'ambito della sessualità e i diritti della persona diversamente abile debbano ancora essere delineati, salvo i casi in cui emergano palese violenza nei suoi confronti.

 

Tribunale di Varese - Ufficio della Volontaria Giurisdizione

Decreto 24 ottobre 2011

(est. G. Buffone)

La tutrice della persona interdetta espone a questo Giudice Tutelare che la sorella di questa avrebbe riferito in ordine a rapporti sessuali completi che l’interdetta stessa avrebbe intrattenuto e consumato con tale A., amico del fratello della badante. Secondo il narrato della sorella della interdetta, i rapporti sessuali sarebbero stati diversi ma avvenuti senza violenza né in assenza del consenso della interdetta stessa.

Ciò esposto, il tutore chiede che il giudice tutelare voglia disporre la convocazione della persona interdetta per assumere i provvedimenti opportuni, precisando, nelle more, di avere ottenuto, da parte della interdetta, la promessa di astenersi dall’avere ulteriori incontri con A.

La richiesta deve essere respinta.

La persona interdetta è affetta da uno sviluppo mentale ritardato e irregolare con deficit cognitivo. Trattasi di una patologia che non può dirsi escludente, ex sé, la capacità di autodeterminazione in quegli atti personalissimi della vita in cui il Diritto permea in modo ponderato e nella precisa sussistenza dei presupposti tipizzati in via legislativa.

Si pensi, tra l’altro, alla limitazione della capacità sponsale (art. 85 c.p.c.) in cui è la Legge stessa, con giudizio ex ante, ad avere posto dei precisi limiti alla libertà personale della persona interdetta. Nessuna norma del codice, tuttavia, regolamenta (o prova a regolamentare) la sessualità della persona interdetta. Giova ricordare che il diritto alla sessualità trova spazio in seno all’art. 2 della Costituzione (Cass. civ., Sez. I, 10 maggio 2005, n. 9801 in Giur. It., 2006, 4, 691) ed è oggi inquadrato nell’ambito dei diritti fondamentali della Persona, con substrato inviolabile (v. Cass. civ., Sez. III, 2 febbraio 2007, n. 2311 in Danno e Resp., 2007, 5, 589).

L’inviolabilità della sfera intima discende (pure) dall’essere la sessualità il luogo in cui ciascuno compendia il diritto di realizzare, nella vita di relazione, la propria identità sessuale, da ritenere aspetto e fattore di svolgimento della personalità (Corte cost., sentenza 24 maggio 1985 n. 161). Essendo la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, il diritto di disporne liberamente è, quindi, “senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l'art. 2 Cost. impone di garantire”(Corte cost., sentenza 18 dicembre 1987 n. 561).

Condividendo i rilievi di altri giudici di merito, va, poi, ricordato che, almeno dalla riforma dei delitti sessuali del 1996, il Legislatore ha voluto riconoscere il diritto alla affettività e alla sessualità anche “alle persone affette da minorazione fisica o psichica” (v. Trib. Brescia, ordinanza 17 febbraio 2010). Riconoscimento che la Legislazione contemporanea più recente ha amplificato e ribadito. E’ sufficiente far riferimento alla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, e ratificata dall’Italia per effetto degli artt. 1 e 2 della legge 3 marzo 2009 n. 18.

Il trattato in esame riconosce espressamente (lett. n del preambolo) “l’importanza per le persone con disabilità della loro autonomia ed indipendenza individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte” (collocati nel novero dei “principi generali”, v. art. 3 della convenzione). La Convenzione, all’art. 12 (“uguale riconoscimento dinanzi alla legge), comma IV, chiaramente statuisce, poi: “Gli Stati devono assicurare che le misure relative all’esercizio della capacità giuridica rispettino i diritti, la volontà e le preferenze della persona, che siano scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita, che siano proporzionate e adatte alle condizioni della persona, che siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di una autorità competente, indipendente ed imparziale o di un organo giudiziario”. Ciò vuol dire che la protezione del soggetto vulnerabile non può tradursi in un “esproprio” dei suoi diritti, anche là dove l’esigenza di tutela non sia ravvisabile (es. testamento: 591 c.c.; matrimonio: 85 c.c.; etc.) oppure ancora si tratti di un contesto in cui trovano respiro i Diritti inviolabili. Anche l’interdetto, insomma, conserva il suo Diritto inviolabile a fruire e vivere delle situazioni giuridiche soggettive a copertura costituzionale, in linea con la giurisprudenza tutelare di questo Tribunale che, già in passato (in materia di matrimonio del soggetto portatore della sindrome di Down) ha affermato che il diritto soggettivo inviolabile non può essere “congelato” in conseguenza della misura di protezione giuridica dell’adulto incapace (Trib. Varese, Ufficio Volontaria Giurisdizione, decreto 6 ottobre 2009 in Famiglia e Diritto, 2010, 3, 287 e in Giur. Italiana, 2010, IV, 846).

Ovvio che, come insegna la Dottrina, non c’è diritto senza il suo esercizio.

La questione problematica si manifesta agli occhi dell’interprete, allora, sotto altro angolo prospettico: non è (e non può essere) in questione il diritto del disabile alla sessualità (an della situazione giuridica soggettiva), ma può venirne in rilievo il suo concreto esercizio, nel senso che potrebbe risultare che la sessualità non è consapevolmente vissuta dall’interdetto il quale non è “Soggetto” della situazione sessuale ma “oggetto”. Ecco, in questo caso (e solo in questo caso) sono ipotizzabili delle misure di intervento: tramite il coinvolgimento dell’Autorità penale, l’allontanamento (con gli strumenti di Legge) delle persone che “mercificano” la sessualità dell’incapace, l’adozione di strumenti di monitoraggio e sostegno (tramite il Consultorio o i Servizi sociali e un supporto psicologico o psicoterapeutico).

Nel caso di specie, però, ciò che “turba” il tutore non è il dubbio che vi sia sfruttamento, tant’è che si sta discorrendo di una persona che addirittura dialoga con il suo rappresentante e conserva un valido nucleo di capacità per gli atti minimi (la tutela è del 2005: allo stato, sarebbe soggetto più idoneo alla Amministrazione di sostegno). Non è, cioè, in dubbio il consenso della persona interdetta all’atto sessuale.

E’ in dubbio il fatto che possa coltivare una relazione sessuale in assenza dei “provvedimenti opportuni” del G.T. E, invero, nella materia tanto intima della sessualità, nessun provvedimento sarebbe, poi, “opportuno”, posto che essa prende forma, vita e colore nella dimensione soggettiva dei partners e non secondo parametri oggettivi cristallizzati nella dimensione giuridica.

Alla luce dei rilievi che precedono, non sussiste alcun potere del G.T. in ordine alla sessualità della persona interdetta e, dinanzi ai rilievi del tutore, è solo possibile – in assenza di comportamenti che evidenzino oggettivamente un “problema” (ad es. abuso, sfruttamento, violenza) – svolgere accertamenti di minima invasività per verificare le condizioni di benessere psico-fisico della persona interdetta.

P.Q.M.

Invita il tutore ad assistere la persona interdetta affinché si sottoponga ad un colloquio con una Psicologa affinché possa raccontare delle esperienze di vita che sta vivendo in questo periodo. La psicologa riferirà se tali esperienze possono causare un pregiudizio psichico alla persona interdetta, con motivazione dettagliata, suggerendo, in ogni caso, le debite forme di intervento necessarie e, se del caso, il sostegno psicologico che si richiede rebus sic stantibus. Di tanto darà atto in Relazione scritta che sarà consegnata al G.T. per il tramite del tutore.

Rigetta tutte le altre richieste del tutore.

Dispone la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero per quanto di eventuale competenza e perché, valuti, alla luce dei documenti versati nel fascicolo, se intenda o meno proporre istanza a questo giudice per la revoca della interdizione in favore di una amministrazione di sostegno, ai sensi dell’art. 429, comma III, c.c. (v. art. 10, legge 9 gennaio 2004 n. 6).

Decreto esecutivo ex art. 741, comma II, c.p.c.

Varese lì 24 ottobre 2011.

Il giudice tutelare
dott. Giuseppe Buffone